GLI ATTACCHI DI PANICO

Tra le varie forme di disagio psichico da me trattate, una delle più diffuse ed enigmatiche, per lo meno nella fase iniziale della terapia, è rappresentata dall’attacco di panico. Il paziente che arriva per questo problema è spesso confuso, rassegnato, e soprattutto terrorizzato. Per comprendere meglio la natura dell’attacco di panico penso sia molto interessante parlare delle origini della parola “panico”, che nasce dalla mitologia greca. Il termine panico deriva infatti da “Pan”, dio metà uomo e metà caprone, divinità benefica e positiva delle tradizioni pagane. Legato in modo viscerale alla natura ed ai piaceri della carne, Pan rappresenta la natura e gli istinti, e quindi l’energia vitale che anima il mondo. Pan era abituato a comparire all’improvviso sul cammino altrui, suscitando terrore interiore, per scomparire poi velocemente, lasciando le proprie vittime nell’incapacità di spiegarsi quanto era accaduto e ciò che avevano provato. Similmente a quanto si racconta in tale leggenda, un attacco di panico è un episodio breve ed intenso in cui si sperimenta ansia acuta, che insorge in modo improvviso e che comporta sintomi fisici e vissuti psicologici di terrore.

Gli attacchi di panico sono quindi episodi di improvvisa ed intensa paura accompagnati da sintomi somatici, quali tachicardia, dolore al petto, sudorazione improvvisa, tremore, sensazioni di torpore o di formicolio agli arti, respiro corto o sensazione di asfissia o iperventilazione, nausea, vertigini, brividi o vampate di calore, e cognitivi, quali sensazioni di irrealtà, di stranezza, di distacco dall'ambiente, di paura di morire o di impazzire.

Il primo attacco di panico è generalmente inaspettato, cioè si manifesta apparentemente senza alcun motivo. Ciò causa un notevole spavento nella persona che, schiacciata dai sintomi fisici, tende a correre al pronto soccorso o ad iniziare una serie di accertamenti medici più o meno ripetuti per cercare la causa del suo malessere. Nonostante sia necessario escludere la reale presenza di un malfunzionamento a livello fisico come causa del problema, la valutazione ostinata dello stato di salute del proprio corpo è legata alla tendenza comune ad accettare più facilmente di avere un problema fisico che ha generato questo stato piuttosto che essere disposti a pensare che sia qualcosa di psicologico. Spesso l’esclusione di una problematica fisica genera stati emotivi di imbarazzo, vergogna, rifiuto della natura del problema e una certa incredulità. Maggiore è la difficoltà ad affrontare il problema sotto il punto di vista psicologico, maggiore è il rischio che il problema si cristallizzi. L’esperienza mostra infatti che, senza opportuni trattamenti, l’attacco di panico può ripresentarsi e acquisire una frequenza media plurisettimanale o, in casi peggiori, presentarsi anche più volte al giorno. Il primo episodio rischia in tal modo di sfociare con il tempo in un vero e proprio disturbo di panico, più per “paura della paura”, ovvero per il timore di avere un nuovo attacco di panico, che altro. La persona si trova rapidamente invischiata in un tremendo circolo vizioso che spesso si porta come conseguenza la cosiddetta “agorafobia“, ovvero l’ansia relativa all’essere in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi, o nei quali potrebbe non essere disponibile un aiuto, nel caso di un attacco di panico inaspettato. Ciò comporta l’evitamento di tutte le situazioni potenzialmente ansiogene, rendendo difficile se non impossibile uscire di casa da soli, viaggiare in treno, autobus o guidare l’auto, stare in mezzo alla folla o in coda, e cosi via. La persona diventa così schiava dei suoi attacchi di panico, costringendo spesso anche tutti i familiari ad adattarsi di conseguenza, a non lasciarla mai sola e ad accompagnarla ovunque, con l’inevitabile senso di frustrazione che deriva dal fatto di essere adulti ma dipendenti dagli altri, che può condurre oltretutto ad una depressione secondaria.

Nell'attacco di panico è il corpo a parlare della propria morte o, meglio, della propria agonia. Nelle persone che soffrono di attacchi di panico i circuiti neurovegetativi, che connettono la coscienza ai segnali del pericolo, sembrano talmente esaltati da diventare indipendenti da ogni controllo razionale. Il paziente ad un certo livello “sa” che non morirà, ma, nello stesso tempo, perde la capacità di arginare la paura e "crede" di morire. Chi ha subito un attacco di panico, lungi dall'essere rassicurato dal fatto di essere sopravvissuto o dal convincersi dell'inconsistenza dei suoi terrori, sembra sempre più incline a farsene catturare. Un elemento molto importante nella preparazione e nello scatenamento dell'attacco è il ruolo giocato dall'immaginazione, e proprio la capacità immaginativa, così fervida nel paziente ansioso, può rappresentare una risorsa importante nel percorso di guarigione.

Dal punto di vista psicologico, gli attacchi di panico e il disturbo da attacchi di panico sono considerati una risposta ad agenti stressanti ambientali. Alcuni eventi di vita possono infatti fungere da fattori precipitanti, anche se non comportano necessariamente lo sviluppo di questo problema. La più importante radice degli attacchi di panico non riguarda infatti cause contingenti e presenti, quanto delle proprie caratteristiche psicologiche, riguardanti in particolar modo una difficoltà nel percepire e riconoscere le proprie emozioni. Il paziente, non riuscendo a riconoscere l'emozione come un accadimento mentale unitario, percepisce l’emozione come slegata dal suo correlato fisiologico. Facendo un esempio molto semplice, sento che il cuore inizia a battere molto forte ma non capisco che in quel momento sto provando un’emozione come la rabbia o la paura. Questa difficoltà nel riconoscimento delle emozioni viene di solito strutturata come conseguenza diretta di specifiche refrattarietà verso certe emozioni, o verso l’intera vita emotiva, da parte dell'ambiente umano entro il quale il bambino cresce. Ricordo ad esempio il caso di una mia paziente alla quale in età infantile non era concesso di esprimere la paura nei confronti di eventi da lei percepiti come spaventosi. L’emozione, trattenuta per tanto tempo, non ascoltata e soprattutto non accolta ed elaborata, è esplosa in età adulta, facendosi sentire attraverso il corpo.

Superare un Disturbo di Panico è possibile e richiede innanzitutto la necessità di prendere consapevolezza della natura benigna del problema, che nasce da una reazione naturale a fattori di sovraccarico. È opportuno imparare a collegare i sintomi ai fattori scatenanti, in modo da acquisire un certo controllo delle crisi. È altrettanto importante cambiare il proprio stile di vita, eliminando tutti i fattori che possono aumentare il rischio di ulteriori attacchi di panico: ciò significa curare l’alimentazione, l’attività fisica, il riposo e la protezione della sfera psichica. È importante imparare anche tecniche specifiche per gestire l’ansia, come apprendere delle tecniche di rilassamento fisico e psichico, che servono a migliorare l’atteggiamento verso sensazioni corporee, eventi esterni e verso se stessi. Occorre anche imparare a riconoscere e distinguere le sensazioni fisiche sperimentate, al fine di ridurre la tendenza a rispondere sempre con ansia a minimi segnali fisici. La disponibilità a mettersi in gioco sostenendo l’apprendimento di risposte comportamentali più adattive alle situazioni ansiogene è una delle caratteristiche fondamentali che può favorire un completo successo in un percorso di guarigione.

La terapia psicofarmacologica non rappresenta la soluzione nei confronti del problema, dal momento che agisce sui sintomi, ma non sulle cause. In casi particolarmente gravi può rivelarsi utile, ma solo se accompagnata da un percorso di psicoterapia e quindi di presa di consapevolezza dei propri comportamenti, dei propri pensieri, ma soprattutto dei propri istinti e delle proprie ferite. Jung sosteneva che “la paura è una via legittima da seguire”.  Ciò che ci spaventa può essere ciò che ci salva anche e soprattutto nel caso del sintomo psichico. Le azioni di Pan celano messaggi importantissimi provenienti dalla propria interiorità. Spesso gli attacchi di Panico costringono le persone a “vedere” ciò che le terrorizza e le fa soffrire, a entrare in contatto con l’inconscio, con l’ignoto, a incontrare la parte in ombra di sè. E per quanto spaventoso tale incontro possa essere, ci offre una via per trasformare il cieco istintuale panico, in conoscenza di Sé. Reprimere Pan significa perdere il nostro istinto più vitale e creativo e la natura dentro di noi. La forza vitale e gli istinti repressi, se non ascoltati e riconosciuti, diventano la causa dei nostri più grandi conflitti interiori, imponendoci un eccessivo controllo delle emozioni. Quando l’energia dentro di noi erompe inaspettatamente proviamo il timore che ci possieda e non riusciamo ad abbandonarci; ci terrorizza, ma se ci arrendiamo a essa e alle sensazioni, la tensione accumulata presto si scarica e si ristabilisce l’equilibrio.